La più alta tra le ville tuscolane, sorge sul luogo dove forse era la villa di Cicerone. Fin dal medioevo il terreno apparteneva all’Abbazia di Grottaferrata, che il 4 febbraio 1564 lo concesse in enfiteusi ad un certo Ascanio Rufini, probabilmente parente del più famoso Alessandro Rufini, Vescovo di Melfi, che possedeva a quel tempo una villa nelle vicinanze, la Rufina (poi Villa Falconieri). Dagli antichi documenti sappiamo che prima del 1578 il terreno era passato ad Alessandro Rufini, il quale forse già vi trovò una modesta costruzione, appunto la Rufinella, chiamata così anche oer distinguerla dalla più grande ed adiacente Rufina. nel 1578, alla morte del cardinale Alessandro Rufini, a causa dei debiti lasciati insoluti, la villa passò nelle mani della Camera Apostolica, che la vendette quasi subito, con l’aggiunta di tre rubbia di terreno, al cardinale vercellese Guido Ferrei, nipote di S. Carlo Borromeo e parente di Pio IV. Il Ferreri ristrutturò il vecchio edificio o forse lo ricostruì del tutto, dandogli il nome della Villa Ferreria. Le vicende di questa villa furono legate a quelle di Villa Falconieri, della quale subì in pratica tutti i cambiamenti di proprietà. Pochi giorni prima della sua morte (avvenuta il 21 maggio 1585), il Ferreri donò la villa al cardinale Francesco Sforza , dal quale passò nel 1587 al nipote Mario Santi di Santafiori, che la vendette in quello stesso anno al cardinale Giovanni Vincenzo Gonzaga.
Nel 1603 troviamo la villa di proprietà di un certo Vincenzo de Nobili, che nel 1604 la vendeva alla Camera Apostolica. L’allora Pontefice, Clemente VIII, la donò a suo nipote, il cardinale Pietro Aldobrandini. Sulla pianta del Greuter (1620), troviamo indicata questa villa come quella " del S.r. Card. Deti ": infatti Pietro Aldobrandini l’aveva concessa fin dal 1615 vita natural durante al cardinal Gian Battista Deti , suo parente da parte di madre, ceh non possedeva una propria residenza ed era di salute assai cagionevole. Il cardinal Deti moriva nel 1630 e la villa nel 1639 fu venduta da Olimpia Aldobrandini ai marchesi Sacchetti, ai quali rimase fino al 1740, anno in cui l’acquistarono i Gesuiti del Collegio Romano, che fecero erigere quasi ex novo la villa da Luigi Vanvitelli, destinandola a residenza estiva per l’ordine. Con la soppressione dell’ordine dei Gesuiti, avvenuta nel 1773, la villa venne ancora una volta nelle mani della Camera Apostolica, che la dava nel 1790 in enfiteusi ad un certo pavesi. Fu quindi venduta ai figli del console francese a Roma, Comellè, che nel 1804 dovettero cederla a Luciano Bonaparte; questi nel 1817 fu sul punto di esservi rapito dai briganti e nel 1820 la vendette a Maria Anna di Savoia, duchessa di Chablais. La Rufinella fu ereditata dalla regina di Torino Maria Cristina , moglie del re Carlo Felice di Sardegna.
Nel 1872 fu venduta da Vittorio Emanuele II, che l’aveva avuta in eredità, a donna Elisabetta Aldobrandini Lancellotti, la quale l’unì alla sua villa sottostante. La villa rimase di proprietà dei Lancellotti fino al 1966, quando fu venduta ai padri Salesiani , che ne sono gli attuali proprietari. Dell’aspetto originario della villa ben poco si sa; sicuramente quando fu costruita dal Rufini e poi ristrutturata dal Ferreri doveva essere alquanto modesta; tale era ancora nel 1620, sotto gli Aldobrandini. Dall’incisione del Greuter, appare un edificio principale molto semplice, con pianta rettangolare, a tre piani e con portale frontale bugnato a cui si accedeva per mezzo di una piccola scalea. Dietro a questo edificio principale la pianta ne mostra un altro, allineato al primo su di un asse longitudinale, di forma parallelepipeda, del quale si ignora la funzione. L’interno dell’edificio principale aveva al piano rialzato gli ambienti di servizio, al piano nobile il salone, cinque camere e un camerino, mentre al piano superiore si trovavano le stanze per la servitù. Questo casino aveva a sinistra e di fronte un giardino all’italiana; la villa era famosa per i suoi estesi oliveti. Il possedimento rimase pressappoco così fino al 1741 , anno in cui, per volere dei Gesuiti, Luigi Vanvitelli attese alla costruzione definitiva della villa, L’edificio commissionato al Vanvitelli doveva rispondere alla duplice esigenza di villa e di residenza per una comunità. Di conseguenza l’architetto progettò una pianta a T, con il braccio verso il monte molto più lungo, caratterizzata da lunghi corridoi che dessero accesso, su entrambi i lati, al maggior numero possibile di camere, tutte pressocché della stessa misura. Su ognuno dei due piani superiori era una sala per le riunioni; fu aggiunto anche un mezzanino. Il Vanvitelli dovette tener conto degli edifici preesistenti, che in parte incorporò nella nuova costruzione
La facciata, corrispondente al braccio più corto, nella parte centrale è divisa da pilastri in pietra sperone, che inferiormente includono un portico a tre arcate e con volta a crociera, al di sopra del quale, in corrispondenza dell’arcata maggiore, si apre in serliana. Al sommo del prospetto, nella parte centrale, è una loggia belvedere con archi a tutto sesto. Un’ampia rampa ellittica conduce all’ingresso del palazzo, che è il punto di incontro dei corridoi principali. Sulla destra è situata la cappella, a pianta ellittica conduce all’ingresso del palazzo,c eh è il punto di incontro dei corridoi pincipali. Sulla destra è situata la cappella, a pianta ellittica, con cinque nicchie divise da pilastri sporgenti. E’ sormontata da una piccola cupola a lunette con ovale centrale e decorata con stucchi. Anche il pavimento è ornato da ellissi concentriche, e fasce radiali. Sommariamente l’attuale giardino ricalca l’antico, ma nulla si sa della sua origininaria sistemazione, della quale resta soltanto il terrazzamento di fronte alla facciata, con una piccola fontana a conchiglia inserita in un’esedra ed il ninfeo sulla destra del prospetto. Per il resto, la villa doveva essere circondata dal bosco.